I progetti

In questa sezione verranno brevemente analizzati i progetti ai quali siamo stati assegnati durante il nostro internship al JPL:

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Axel

All'interno del JPL si lavora continuamente all'ideazione e progettazione di nuove famiglie di rover per l'esplorazione planetaria; uno di essi è Axel (pagina JPL del progetto:


L’obiettivo principale della famiglia dei robot Axel è quello di creare dei robot capaci di esplorare terreni particolarmente ostili.
Tali terreni includono crateri, pendii, pareti rocciose, canyon e, in genere, qualsiasi luogo che sarebbe impossibile affrontare usando i "classici" meccanismi su cui si basano i robot mobili (quattro o più ruote, con una disposizione simile a quella delle nostre automobili).
L'interesse nei confronti di questi terreni è molto elevato, tanto che la NASA ha dichiarato una priorità assoluta la loro esplorazione. Alcune delle immagini provenienti dai satelliti orbitanti intorno a Marte mostrano infatti come su certi canyon ci siano segni dello scorrere di vene liquide. L'idea che tali segni possano essere stati provocati dallo scorrere di acqua su Marte rende ovviamente l'esplorazione in-situ una missione ad altissima priorità; l'acquisizione e lo studio di campioni in questi luoghi potrebbero infatti gettare nuova luce sul passato del pianeta rosso, e su quello del sistema solare stesso.
La famiglia dei robot Axel rende possibile l'esplorazione di luoghi “ostili” grazie ad un sistema mother-daughter. L'idea di tale design è quella di avere un rover mobile “madre” (quale Curiosity) che sia in grado di muoversi su lunghe distanze e terreni non eccessivamente impervi; quando tale rover dovesse raggiungere il bordo di un canyon o essere in prossimità di una parete verticale, esso si ancorerà al terreno e rilascerà il robot “figlio”, Axel. Quest'ultimo rimarrà connesso al robot madre attraverso un cavo (in maniera simile a quanto succede in uno yo-yo) che gli permette di arrampicarsi lungo le pareti del canyon o giù per il cratere (video esplicativo: http://www.youtube.com/watch?v=Ijjo1nW94tY).
Durante la navigazione, il rover può adoperare strumenti in grado di prelevare ed analizzare campioni di suolo, rendendo di fatto possibile l'esplorazione e analisi in-situ di terreni fino ad oggi inesplorati.

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Mars Sample Return mission

Uno dei motivi che ha reso celebre il JPL in questi ultimi anni, e che costituisce tuttora il principale impiego di risorse per il laboratorio, è senz'altro l'esplorazione di Marte.
Dopo le missioni di successo Mars Exploration Rovers (Spirit ed Opportunity) e l'atterraggio nel 2012 del rover Curiosity con la missione Mars Science Laboratory, il prossimo passo è un'ultima missione robotizzata nel 2020, la Mars Surface Mission, che farà parte di un progetto più ampio di recupero di campioni dalla superficie del pianeta rosso, la Mars Sample Return campaign.

Tale missione prevede il prelievo di campioni di terreno di varia natura ed a varia profondità da riportare sulla Terra per essere analizzati in laboratori di ricerca avanzati.
Gli obiettivi di questa missione sono:
  • evidenziare la struttura del sottosuolo marziano, individuando eventuali agenti patogeni che potrebbero mettere a rischio le future missioni umane su Marte
  • mostrare una stratigrafia del sottosuolo marziano, per meglio comprendere l'evoluzione di tale pianeta
  • cercare eventuali forme di vita presenti in profondità o in ambienti protetti dalle radiazioni cosmiche
Come per tutte le precedenti missioni su Marte, il JPL è incaricato della costruzione del rover che dovrà intraprendere tale missione.
In particolare, nella sezione di Robotic Vehicles & Manipulators Group del JPL, la ricerca è attualmente focalizzata nel sistema di selezione e prelievo dei campioni marziani.
Grande importanza è data alla completa automazione del processo di acquisition & storage, che deve essere eseguito da un braccio robotizzato in un ambiente estremamente ostile e senza possibilità di controllo "on air" della sequenza di carotaggio.
Grande è l'interesse della NASA e del JPL per tale missione, da cui potrebbero scaturire grosse scoperte scientifiche.

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Strutture multifunzionali

Uno dei principali obiettivi nel progetto di sistemi aerospaziali è la riduzione dei pesi. Originariamente, la corsa verso masse sempre più ridotte ha riguardato quasi esclusivamente il dominio strutturale. Sfortunatamente, questo approccio da solo non garantisce la minimizzazione dei pesi, dato che la struttura rappresenta comunque solo una parte (circa un quinto) del peso totale del sistema.
Per raggiungere risparmi in massa ancora più spinti è necessario agire contemporaneamente su più fronti, su tutti quei fattori che determinano il peso complessivo del prodotto. 

Le strutture multifunzionali rispondono a questa necessità e rappresentano un vero passo avanti nella progettazione aerospaziale.
Esistono svariate definizioni di multifunzionalità, ma, al di là del nozionismo, le strutture multifunzionali sono sostanzialmente equipaggiamenti che riescono a svolgere molteplici attività usando sempre lo stesso hardware condiviso.
Nell'ultimo decennio, infatti, i sistemi complessi si sono evoluti ed hanno rinnegato il classico concetto di sottosistema fisicamente sè stante, delimitato da contorni ben definiti, a favore di nuovi concetti, metodologie di progetto e materiali che fossero in grado di fondere ruoli e funzioni in modo innovativo.
Alcuni esempi di strutture multifunzionali sono:

  • pannelli di supporto che integrano batterie,
  • parti strutturali che svolgono anche controllo termico,
  • componenti in cui il combustibile è "infiltrato" nella struttura e contribuisce a sopportare i carichi strutturali.

Si capisce subito come tali concetti siano particolarmente interessanti per le applicazioni spaziali.
Infatti, siccome le strutture dei veicoli spaziali sono dimensionate sul compito più gravoso, che è quello di resistere alle sollecitazioni del lancio, esse si rivelano essere eccessivamente robuste per tutto il resto della missione, trascinandosi così dietro una ridondanza non gradita.
Invece, se le componenti strutturali fanno da nucleo di aggregazione per lo sviluppo di elementi multifunzionali, esse rimangano utili anche in ambienti con basse sollecitazioni meccaniche, laddove altre parti in esse nidificate svolgeranno comunque altri compiti.

Quando i requisiti di miniaturizzazione sono eccessivamente severi, l'applicazione di concetti multifunzionali può arrivare ad essere l'unica alternativa percorribile per individuare un progetto fattibile. Ad esempio, le strutture multifunzionali sono sicuramente un componente fondamentale per la produzione di velivoli UAV di dimensioni ridottissime o di micro-satelliti.

Nel campo delle strutture multifunzionali, la NASA ha svolto moltissimo lavoro sin dagli anni '90.
Attualmente al JPL si studia la possibilità di unificare elettronica e struttura, eliminando supporti, involucri e cablaggi. Le parti elettroniche vanno quindi a liberarsi dalla loro tradizionale configurazione: non si hanno più schede alloggiate in appositi vani, bensì schede che diventano integralmente parte della struttura meccanica del prodotto finito.

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Traiettorie per il trasporto di materiale per scudi da lune marziane e asteroidi verso Cycler Terra-Marte

La presenza di raggi cosmici (CGR) ed radiazioni solari (SPE) può rappresentare un ostacolo per i viaggi umani verso Marte. La sola soluzione conosciuta è fornire l'astronave di una massa sufficiente per la schermatura dalle radiazione. Ci vogliono almeno 0.5 kg/cm^2 di materiale per protoggere dai raggi cosmici. L'acqua può essere un buon materiale per la schermatura dalle radiazioni., ma questo schermo dovrebbe avere uno spessore di 5 m per garantire la protezione. Racchiudendo il Deep Space Habitat (DSH), con dimaetro di 4.3 m e lungo 10.5 m, attualmente in studio dallo Human Spaceflight Architecture Team (HAT) con uno scudo spesso 5 m richiederebbe approsimativamente 3200 tonnellate di acqua. Questa è 7 volte più pesante della stazione spaziale internazionale ISS, quindi il problema è intrattabile.
Le traiettorie cicliche Terra - Marte (Cycler) forniscono una serie di trasferte brevi tra la Terra e Marte, senza un eccessivo consumo di carburante. In questo modo si può avere una navicella pesante che continua a viaggiare su una traiettoria ciclica e che può essere riusata per successive missioni marziane.
Veicoli robotici propulsi con motori elettrici ad energia solare (SEP) possono raccogliere, dalle lune marziani e da asteroidi prossimi alla Terra (NEA), regolite o acqua utili per lo scudo e portarli sull'habitat sulla traiettoria ciclica.
Dopo che il materiale per lo scudo è stato accumulato sul DSH, gli astronauti possono essere lanciati dalla Terra, effettuare un rendezvous con l'habitat ed essere portati su Marte. Dopo una permanenza su Marte l'equipaggio può essere lanciato per il rendezvous verso un altro Cycler rinforzato che da Marte ritorna sulla Terra.
In questo modo, anche in missioni pluri-annuali, l'esposizione degli equipaggi ai raggi cosmici e agli eventi solari  possono essere mantenute allo stesso livello della superficie terrestre.



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